Vi è mai capitato di ascoltare la vostra voce registrata? E' terrificante. Almeno per me.
Io odio il fatto che quel suono non mi rappresenta. E' lontano anni luce dalla voce che ascolto mentre le parole abbandonano la mia gola, ed è ancora più differente dalla voce con cui i pensieri e le idee affollano lo spazio disponibile tra le tempie. In sostanza io ho tre voci, quella orribile, con cui gli altri mi ascoltano, che devo aver rubato a qualche fatina delle numerose favole che mi leggeva mio padre, alla sera, al buio, prima di andare a letto; quella che percepisco ed ha un tono prepotente, perentorio, delle volte anche quando non sarebbe proprio il caso o non c'è proprio la volontà, quella che mi fa va di sentire forte e decisa. E infine quella che io chiamo "la voce dei pensieri", quella che dovrà di sicuro appartenere ad una donna realmente forte. Non urla mai, si affaccia in punta di piedi, non vi è traccia di inflessioni spiacevoli, toni esagerati, vocali troppo aperte o doppie troppo forti. E' una voce sicura, ferma, decisa ma non imponitiva, saggia, materna. E' come la voce di quelle persone che hanno vissuto tanto e tanto hanno da raccontare, ma sono così intelligenti da non credere di esserlo, o pretende a tutti i costi di dimostrarlo. Butta lì un consiglio senza aspettative, a smuovere con cerchi concentrici il laghetto arginato che ti sei costruita, e attende; aspetta che che anche tu ti accorga chi sei. Non è una voce familiare, è una sconosciuta che alberga tra le mie orecchie, ma che mi conosce talmente bene da farmi sentire estranea a me stessa. E' onesta, perchè non conosce menzogna il filo irrazionale dei pensieri, ma solo la genuinità di quello che siamo.
Una cosa che ho sempre fatto è non ascoltarla, rivestendo di valore, piuttosto, lo squittio delle voci degli altri, che la sua, la mia.
Poi, per quella strana abitudine che abbiamo di infilare una maschera, e portarla giorno e notte per così tanto tempo da non ricordare nemmeno più i lineamenti che abbiamo nascosto, mi sono inventata un'Isotta diversa, sul cui altare immolavo in sacrificio emozioni nascoste, opportunità cadute nel silenzio, sogni fatti di poco, troppo piccoli per avere valore, avere le ali, sapere volare, il coraggio di scegliere per me, non per gli altri, per l'adesso e non il futuro.
Quella sensazione all'etanolo, con la testa leggera e il cuore svuotato, io l'ho sempre provata. E la provo ogni volta che picchietto sulla tastiera e strappo parole ai pensieri, capriolo le frasi, imbratto una pagina del mio odore più vero. Scrivere è una boccata d'aria fresca, nell'aria di Dicembre, dopo due ore di fila nel locale con l'aria viziata; è il coraggioso tuffo nel mare di fine Aprile, dopo un'attesa lunga un inverno; è il pezzo di torta al triplo cioccolato quando la dieta è finita, affondare il naso nel pelo del tuo cane che freme di gioia dopo averti aspettata a lungo, è il primo bacio con la persona che ti ha fatto faticare tanto per averlo. Scrivere è una liberazione. E leggere è il suo sposo.
Non lo so, ho sempre questa sensazione di non aver fatto le scelte giuste appiccicata alla pelle, di non aver vissuto per come avrei dovuto, di non essermi sfruttata il tempo, di averlo sprecato rincorrendo un'immagine che non ero io. Se così non fosse, non avrei rimpianti, timori o quel che è, sarei serena e felice. O forse no. Che quelli come me se non hanno qualcosa di cui lamentarsi la trovano, e nel caso in cui non la trovassero, fanno in modo di averla lo stesso.
Oggi va così, il grigiume dalla finestra e un esame inutile e noioso fanno il resto. Ma io sono qui, e non riesco a pensare che tra due giorni sono a casa, che riabbraccio i miei amori pelosi, che lui è venuto e, per ora, abbiamo risolto, che è il mio compleanno tra poco e c'è da festeggiare anche Natale, Capodanno e la Befana. No. Oggi l'unica cosa che la voce mi ripete è "ma non dicevi che odiavi le materie umanistiche e volevi solo vivere tra chimica e biologia?", poi tace.
Isotta
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