Come oggi, cinque anni fa.
Il freddo di un Dicembre appena iniziato, si appiccicava alle parti del corpo scoperte. L'aria era appesantita da quella solita umidità che fa capolino appena il sole si tuffa nella bocca del vulcano, e guardando verso l'infinito che si apre dalla vista della villetta puoi respirare quell'attimo di passaggio dalla luce al buio, devi essere fortunato però.
Succede tutto nell'arco di un battito di ciglia, e devi costringerti a tenere gli occhi aperti e fissi lungo la linea tre cielo e mare, nonostante il freddo di Dicembre li pizzichi, devi essere forte, sbarrare gli occhi per far si che quello spettacolo ci possa entrare tutto e colorarli di rosa, azzurro, arancione o le eventuali sfumature di cui decide di tingersi quel giorno. Quel pomeriggio ero uscita in ritardo, probabilmente qualche pagina in più da studiare. Le stradine erano deserte, ancora. Nessuno squillo sul mio cellulare, a significare che ancora nessuno era uscito di casa, probabilmente erano in ritardo anche loro. Ne approfittai per camminare lentamente, per assaporare l'odore del freddo, quell'odore di muschio verde, parassita di vecchi muri cadenti, fermi a testimoniare nel tempo un tempo che è stato, un passato probabilmente meglio di questo presente, se ancora il ricordo resiste e non si è dato pervinto allo scadere degli anni. Che sa di brividi, i brividi provocati dal venticello che scendendo dai dirupi delle ispide montagne, sostenitrici del paese alle spalle, raccoglie gli odori e te li alita in viso. Avevo il naso ghiacciato e le guance rosse, potevo vederlo nitidamente nelle vetrine che in questi anni mi hanno visto sotto la pelle di mia madre, bambina per mano a mio padre, e poi ragazza, in un susseguirsi di stagioni e cambi di pelle.
Arrivando in piazza, il buio delle viuzze è accecato dalle luci arancioni, a cui si sommano quelle colorate intrecciate negli aghi di pino delle ghirlande che confezionano la via principale, annunciando il Natale. Mentre mi dirigevo verso la fontana centrale alla piazza a prendere il solito sorso d'acqua, non incontrai nessuno della mia compagnia, e rassegnata piegavo verso casa dei nonni. Dopo qualche chiacchiera vicino al calore del fuoco, il mio telefono tornava a rianimarsi, e finalmente la mia giornata avrebbe dato un senso al batticuore. Aveva gli occhi piccoli e le guance rosse ma non per il freddo, continuava a ridacchiare e io pensavo a quante fosse stupido ed immaturo, molto tempo dopo arriverò a capire a quanto lo sono stata io, ed a quanto un bicchiere in più di vino possa farti commettere sbagli, nonostante non sia stata nemmeno tu a berlo.
Non era il solito, ovviamente. Mi toccava i capelli mentre parlavo con le altre persone, mi teneva al riparo dal vento che ci inseguiva da dietro, coprendomi copletamente le spalle con la sua altezza e il giubotto pesante che lo faceva ancora più grosso, mi chiedeva di sedermi vicino a lui. Ed io ero una stupida, lo sono ancora. Ora credo che ho scambiato l'alcol con qualcosa che non è mai esistito.
Il calore del mio corpo riscaldava le sue mani infreddolite, continuava ad accarezzarmi la pancia ed i fianchi, sotto il cappotto, a giocherellare con il fiocco che i laccetti di uno scaldacuore di lana formavano dietro la schiena. Non eravamo mai stati vicini in quel modo, lui si era sempre tenuto a debita distanza ed io mi ero sempre adeguata senza sbilanciarmi mai. Avevo resistito a non cadere da cavallo, mi ero aggrappata alle redini nonostante il galoppo mi facesse sobbalzare e non avevo più forza di reggere la presa. Poi ad un certo punto ho mollato, e sono finita in un pozzo scuro che ancora mi vede precipitare. Ho ceduto a quell'altra Isotta, ed ho sbgliato. Le campane della chiesa davano ragione alle lancette del mio orologio, era ora di cena, e mio padre l'unica cosa che non sopporta è che si arrivi in ritardo a tavola, e mai avrei fatto qualcosa che postesse lontanamente infastidire il mio amato papà. Mi alzai per andare via, ma lui mi disse di aspettare, che andava dalla stessa parte e mi avrebbe accompagnata. Avevo il cuore in gola, perchè nonostante l'avessimo fatto tante altre volte da amici, quella sera non mi sembrava la stessa cosa. Ripercorrendo al contrario la strada verso casa si passa dalla luce al buio, il buio che c'è nella mia testa ripensando a quei momenti, non ricordo come siano andate le cose, ricordo solo le sensazioni ed un ronzio nelle orecchie. Forse la sua mano ha preso la mia, o forse mi ha abbracciata, o forse sono stata io a mettermi sulle punte per arrivare più vicino al suo viso, il fatto è che ci siamo incontrati sulla soglia di un bacio. E il mio cuore deve aver perso un battito nel momento in cui le mie labbra hanno toccato le sue, e ancora non l'ho recuperato. Sono letteralmente scappata verso casa con la sua voce che mi diceva di aspettare un attimo, e a metà strada mi sono dovuta fermare un secondo, appoggiata al muro coi mattoni rossi e le parietarie, a riprendere fiato per la corsa e il filo logico dei pensieri. La prima cosa che mi è venuta in mente di fare è stato scrivergli un messaggio:
"Siamo degli stronzi."
Avevo totalmente ragione.
Isotta
Non l'ho mai cancellato quel messaggio!!!
RispondiEliminaContinua a scrivere, sempre, non fermarti!!
Ciao e Buon 5°ANNIVERSARIO
p.s.Continua a scrivere di me, e per me. TI AMO
...ehmmm...dunque...beh...fateci sapere!
RispondiEliminaEhmm sul serio.. Zia io non so cosa dire O.o
RispondiEliminache bel ricordo... :) e a quanto pare è andata bene...
RispondiEliminami hai fatto venire in mente un sacco di cose con questo tuo (bellissimo) post... :)