Il cielo rimane colorato di azzurro, osserva limpido e immobile il vento tirar giù le foglie dagli alberi, illuderle in un valzer tinto di giallo e infine abbandonarle ai piedi di quella che era stata la loro casa per tutta la bella stagione. Quando stare li, a far bella mostra del verde più brillante, ad assorbire i raggi cocenti del sole, valeva il fatto di rimanerci attaccate, il privilegio di attingere alle radici che qualcun altro aveva faticato a spingere nella terra scura, in cerca di acqua.
Quando non hai tue radici profonde è così che finisci, vestita di un malinconico giallo a ballare sola nel vento, come nelle più tristi scene dei film, quando tutto è stato e lei non è riuscita a prendere parte allo show, dunque percorre un viale alberato e solitario con il vento che le smuove la sciarpa e i lembi del cappotto aperto, in attesa che partano i titoli di coda, che la gente esca dal cinema.
Ad ogni passo, il rumore cartaceo del manto di foglie che si schiaccia sotto il peso della gente, ricorda quante lacrime avranno perso per ridursi così, quanta acqua avranno pianto dagli stomi per cambiare la pelle, avvizzirsi, seccarsi e mollare la presa, allontanarsi dal porto sicuro che è il ramo di un grande albero per una fogliolina.
In fondo ci vuole un gran coraggio a librarsi nel vento.
L'autunno è la stagione della malinconia per eccellenza, con tutti quei colori caldi ma dalle tonalità smunte. Il giallo delle foglie non è lo stesso di un limone in estate, il rosso non ha la sfumatura delle fragole è piuttosto un mattone che rimanda ai tetti delle case, ai comignoli che annoiati di star li,impiedi a vedetta, sbuffano fumo.
Camminavo sola, per le strade lastricate di ciottoli, stando attenta a dove mettere i tacchi, stretta nel trench e col collo avvolto nella sciarpa, e nonostante il messaggio che avevo appena letto non mi veniva da piangere. Continuavo solo a pensare alle foglie. E a camminare.
A camminare senza vedere nessuno, senza sentire le voci della strada o la musica che usciva dai baretti della piazza centrale. Pensavo alle povere foglie, che non avevano più nessuno a cui attaccarsi.
E niente, poi capita che il tuo nome gridato nel freddo da una voce familiare ti riporti rovinosamente nel tuo corpo e tenti di resistere a dire che stai bene, che va tutto bene, ma gli occhi complici ti fanno la tac e non devi manco pagare il ticket. E siamo lì sedute, al gradino di una saracinesca abbassata, che ogni tanto il vento fa muovere e ti sobbalza il cuore, con il mento sulle ginocchia e le lacrime tra il mascara, con una testa che appoggia la tua e ti assicura che andrà bene, che vali di più, e non sa se veramente andrà così ma che l'importante è fartelo credere, almeno in quel momento.
Capita così, che ringrazi il cielo, che a volte, mentre sei li a precipitare nel vento ed affogare nella luce arancione dei lampioni, qualcuno ti abbia visto, ti abbia riconosciuto e abbia deciso di farti un po' di posto sul suo ramo.
"Volevo fartelo sapere io,
prima che lo venissi a sapere da chissà chi.
Sto frequentando un'altra. Sto cercando
di dimenticarti. Spero tu riesca a
fare lo stesso."
ELIMINA. Un tuffo nelle coperte. E' finita.
Il post è bellissimo.
RispondiEliminaL'SMS un po' meno... ma pensa che così avrai meno motivi per pensarci ancora su...
Forza Isotta..forza!
Oh Isotta, che post bellissimo. Emozione allo stato puro.
RispondiEliminaMi dispiace per quel messaggio che ti fa stare male, però almeno è stato sincero. Certo, è un'amara consolazione...
Dai!!!
Mi piace molto come scrivi, e poi hai un blog davvero originale e diverso dal solito. ti seguo! grazie per esser passata da me e grazie per aver messo il mio blog sulla tua homepage, mi rendi felicissima!
RispondiEliminaaudrey